Obbedienza.

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    Tàigara Nedkha
    ❝ Kristall-Elizabeth ❞
    Araldo Light


    Una ferita di luce apparve per un secondo all’estremità sud ovest del Vulcano Pyranox, oltre la catena montuosa dell’Elladan, nel territorio della vecchia Bisanzio. La notte era ormai calata, notte di luna nuova. Era quasi inutile tentare di usare gli occhi per distinguere le forme nell’oscurità, là trovai Syura solo grazie alla mia natura Oris.

    Ciò che stavamo per fare, io e Syura, andava contro ogni mio principio, contro ogni insegnamento ricevuto fin dall’infanzia. Ma Witchcraft era Witchcraft, e Atlantide era Atlantide. Là ero regina di un regno malamente sopravvissuto alla distruzione, che avevo appena trascinato fuori dall’ora più buia; qui, e ora, ero l’Araldo Luminoso al servizio degli Dei, Ametista la Buona inclusa, e della Grande Madre che aveva ordinato di riparare all’errore che avevo contribuito a creare. Sebbene involontariamente, io ero stata complice e artefice, ed io dovevo prendermi la responsabilità anche per gli altri due colpevoli e artefici che non erano presenti: Christine Rossum ed Erick Draculia. Nella mia terra di origine i draghi erano considerati nostri progenitori, erano sacri e venerati al pari, se non più, degli Antichi Re; qui erano bestie e, se necessario, dovevano essere uccisi.

    Sapevo benissimo a cosa stavo andando in contro, avevo passato un buon decimo della mia vita tra i draghi per apprendere il più possibile da loro. Dopo quasi tre secoli passati a tentare di calpestarmi come se fossi stata una fastidiosa pulce (era diventato il mio soprannome), avevano iniziato a fidarsi di me e, da quel momento in poi, mi avevano permesso di essere loro allieva. Imparai molto, più di quanto ogni mio simile avesse avuto l’occasione di fare… Sapevo quanto possano diventare terribili, se instabili, e magnifici se equilibrati. Nohirior faceva decisamente parte del primo gruppo e, nella mia testa, avevo cercato per giorni di convincermi di quanto la sua morte fosse necessaria per ristabilire l’equilibrio a Witchcraft, per evitare la morte di altre persone innocenti (Shadow compresi), che subito dopo le cose sarebbero andate per il meglio… Ma fu un vano tentativo. Non potevo spazzare via, in una manciata di giorni, insegnamenti lunghi millenni che andavano in senso contrario.

    Eppure ero lì, al fianco di mio figlio Syura, intenta a controllare il respiro mentre ci avvicinavamo ad Ombromalia. Dovevo fare ciò che andava fatto, dovevo compiere ciò che mi era stato ordinato. La seconda prova richiestami dal Fato per poter tornare in vita, una prova di ferrea obbedienza, non l’avevo dimenticata. Avrei obbedito, senza comunque venir meno ai miei principi: non avrei inferto io il colpo finale, non ne ero semplicemente in grado e avevo immediatamente informato Syura di ciò. Avrei pensato dopo alle conseguenze che quella notte avrebbe portato… sulla mia anima. Quello era un “conflitto d’interessi” che riguardava me sola.

    Ci arrestammo d’improvviso. Un cenno d’intesa. Avevamo trovato la Fortezza e, con essa, anche il drago. Scagliai nel cielo una freccia di luce magica, attirando immediatamente l’attenzione di Nohirior. Un brusco e potente movimento dell’aria ci disse che si era alzato in volo, dopo aver spiegato le enormi ali nere. Io e il Guardiano indietreggiammo di qualche metro, sapendo che non era per niente saggio per noi avvicinarci alla Fortezza. Sapevamo, anche, che non potevamo permettere al drago di indietreggiare e rintanarvisi una volta ferito gravemente, o sarebbe stato tutto inutile. I nostri poteri diventavano nulli in prossimità della nera fortezza, e il drago nero avrebbe potuto risanarsi completamente. Avevamo un piano ben preciso e iniziammo subito ad attuarlo.

    Ci dividemmo, io verso nord e lui verso sud. Io scagliai una freccia fendiabisso, questa volta mirando al centro del suo petto, riuscendo a colpirlo. Un grido agghiacciante mi fece tremare, ma non cedetti. Continuai a correre verso nord, in direzione del fiume, sapendo che Nohirior mi stava inseguendo. In un battito di ciglia fu sopra di me e mi sputò addosso le sue fiamme; un lembo di terra si sollevò a coprirmi, ad opera della magia di Syura, permettendomi così di scartare di lato. Non persi tempo ad osservare la striscia di fuoco che aveva lasciato a pochi metri da me, voltandomi per fronteggiarlo. Lo osservai volare oltre me, interrompendo le sue lingue di fuoco, e virare per tornare indietro verso di noi. Sia io che mio figlio di trasformammo in Treant e, in questa forma, evocammo grandi e robuste radici non appena il nostro nemico fu nuovamente vicino. Queste saettarono verso il cielo e colpirono le ali del drago, rompendone la membrana in più punti. Ferito e sbilanciato, allora, Nohirior rovinò a terra spostando parecchia roccia, lasciando un profondo e lungo solco che sarebbe rimasto intatto per molte generazioni.

    Senza mutare forma ci avvicinammo a lui il quale anche appiedato era un nemico letale, ed ora che era ferito ed umiliato divenne ancor più pericoloso. Syura, che aveva guadagnato più vigore grazie alla suo agire direttamente per la Grande Madre e in quanto suo vessillo vivente, aveva fatto sprofondare le zampe del drago nella terra per impedirgli di muoversi liberamente. Io trattenni e bloccai la sua coda, che mirava a colpire direttamente l’Oris. Tornai in forma umana e rimasi attaccata ad uno degli spuntoni sulla sua coda, così riuscii a salirgli sul dorso. Subito lui perse a dimenarsi e mi disarcionò, ma prima riuscii a piantargli Xerxes in un fianco, in mezzo alle costole. Si girò verso di me, tentando di afferrarmi e spezzarmi in due, io rotolai sotto il suo collo e mi portai sul fianco opposto.

    Xerxes era rimasta dove l’avevo piantata, non ero riuscita a toglierla per tempo, dunque infilai la mano nella mia borsa ampliata con la magia ed estrassi la lancia. Dopo un altro attacco a distanza di Syura, che mi diede il tempo per ritrovare l’equilibrio, feci il possibile per ferire e colpire il drago ovunque riuscissi ad arrivare, mirando con precisione chirurgica ai suoi punti deboli (quali le ascelle, le giunture, la pancia). Intanto Syura continuava a colpirlo a distanza, sia con la magia che con i poteri degli Oris, offrendomi all’occasione del fuoco di copertura o della protezione. Non avevamo bisogno di comunicare, né di cenni d’intesa… Avevamo raggiunto una collaborazione e un tempismo semplicemente perfetti.

    Ed ecco che il drago riprese a sputare fuoco, dopo un profondo e minaccioso respiro. Syura mi corse vicino, preparandosi al peggio, mentre Nohirior dava sfogo al suo fuoco senza curarsi della direzione che avrebbe preso. Io difesi me e mio figlio creando una sfera d’acqua e ghiaccio che ci avvolse interamente, ponendo il mio stesso corpo tra i due. Una volta che il drago ci individuò, concentrò il fuoco su di noi. Syura creò un’altra parete di roccia per ripararci dal fuoco, per darmi il tempo di creare un’altra bolla di acqua e ghiaccio. Quando il drago smise di infuocare la notte per riprendere fiato, agii in fretta: presi altra acqua dal fiume e, creando una semplice frusta, la indirizzai dritta nella bocca del drago proprio mentre questo creava nuovamente del fuoco al suo interno. Fuoco che danneggiai, irreparabilmente. Fu un colpo quasi mortale, ma non sufficiente ad ucciderlo.

    Syura allora mi apparve sfocato, come sovrapposto da un’altra immagine indistinguibile. Seppi di dovermi fare da parte e di non dover interferire con l’azione della Grande Madre. Osservai mio figlio dirigersi verso il drago, e fu tremendamente difficile costringermi a restare ferma: temevo per lui e volevo proteggerlo, ma allo stesso tempo non volevo vedere il drago morire. Tramutò le sue braccia in letali radici, che si allungarono a dismisura e trafissero il drago. Dritto al cuore. Un altro grido al cielo, questa volta straziante, nacque dalla gola di Nohirior che subito dopo chiuse gli occhi e lasciò cadere inerme a terra la testa. Era morto.

    Un altro grido seguì, subito dopo. Il mio. Straziato dal dolore tanto quanto quello della creatura appena spentasi. Mi avvicinai ad essa in un fiume di lacrime, posai le mani sul suo muso… Era ancora caldo. Avrei ricordato per tutta la vita quel momento: quando sentii distintamente spegnersi la vita di un drago. Per colpa mia. Istintivamente cercai di rianimarlo come avevo appena imparato, sacrificando parte della mia energia, ma ormai era tutto finito. Non aveva senso provarci. Syura mi prese le mani e mi allontanò dal cadavere (intravidi appena che aveva recuperato Xerxes per me), così io vidi il sangue nero con cui mi ero macchiata le mani toccando il drago. Gridai ancora più forte e mi graffiai il petto.

    Syura allora mi si avvicinò, mi parlò, mi disse dolcemente e fermamente che dovevamo andare, che presto sarebbe sorta l’alba, che non dovevamo essere visti e che avevamo bisogno entrambi di cure urgenti. Mi voltai verso di lui e vidi che aveva parecchie scottature e qualche taglio. Se lui si era ridotto in quello stato, pur rimanendo a distanza, io dovevo essere messa doppiamente peggio. Annuii senza parlare, capendo fin da subito che non avrei ripreso a parlare tanto presto. Sentivo il cuore martoriato, la mente totalmente scombussolata, il corpo indolenzito, ferito e ustionato, l’armatura spaccata in più punti… Ma compresi quanto mio figlio avesse bisogno di cure e protezione, dunque mi mossi. Il Guardiano evocò un Portale dell’Alba e vi passammo attraverso, lasciandoci alle spalle il cadavere di Nohirior sempre più freddo.

    Spuntammo a Serafyn all’entrata del Tempio Verde, fortunatamente deserto, che chiuse la sua entrata alle nostre spalle. Ci avvicinammo al suo centro: io mi unii all’acqua della pura sorgente, togliendomi così l’armatura che cadde rumorosamente a terra, curandomi dalle ustioni e riguadagnando le energie assorbendo l’elemento. Mi occorsero pochi secondi, così riuscii poi a dedicarmi a Syura. Quel silenzio così pesante è un’altra delle cose che avrei ricordato fino alla mia morte. Eravamo distrutti entrambi nel corpo – e io anche nell’anima – ma avevamo compiuto il nostro dovere… Ai danni di una creatura leggendaria. Syura guarì in fretta, così mi fermai a guardarlo: eravamo seduti uno davanti all’altra e lui, come sempre più spesso, era inespressivo. Il suo volto sembrava la superficie di uno stagno, che nemmeno un sasso gettato al suo centro avrebbe potuto increspare. Così tranquillo da sembrare innaturale. Dava l’impressione che, sotto la superficie e l’aspetto calmo, si nascondesse l’entrata per gli inferi. Lo riconoscevo sempre di meno… Mi mancava il sorriso del fanciullo innocente che un tempo era stato. Ma stava bene, ora, e tanto mi bastava.

    Quando passò la preoccupazione per la salute di Syura, subito il ricordo vivido del cadavere e del sangue di Nohirior sulle mie mani tornò vivido davanti ai miei occhi, spalancati per l’orrore. Urlai un’altra volta, cercando di trattenermi per non farmi sentire, nel tentativo impossibile di lavarmi le mani dal sangue che, però, non era più su di esse ma solo nella mia testa. A quel punto Syura compì uno dei gesti più teneri che avesse mai fatto: mi abbracciò e strinse a sé, delicatamente, accarezzando leggermente i capelli sulla mia nuca. Proprio come io avevo fatto con lui una volta salvato dalla furia omicida di Exilium e in mille altre occasioni. Inalai a pieni polmoni il suo profumo, assaporai quel tenero gesto sapendo che probabilmente sarebbe stato anche l’ultimo – era sempre meno avvezzo ad atti del gene – e riuscii a calmarmi un poco.

    Infilai di fretta l’armatura ammaccata dentro la mia borsa, insieme a Xerxes e alla Lancia, poi ci alzammo ed uscimmo dal Tempio Verde. Lentamente raggiunsi le mie stanze nella Torre Ovest, dopo essermi congedata da Syura che invece si diresse alla Villa del Sole. Appena varcai la soglia dell’appartamento mi sedetti sul divano, sentendo gli occhi gonfi e arrossati per le lacrime, ma non sentendo nient’altro. Rimasi in uno stato catatonico fino all’alba, con la coperta stretta attorno alle spalle. Guardando fuori dalla finestra sperai con tutta me stessa che non fosse accaduto niente, che tutto quello che stavo vivendo e avevo vissuto quella notte fosse in realtà solo un brutto incubo dalla quale mi sarei svegliata presto, col sorgere del sole. Non avvenne.

    Mi abbandonai di lato, posando la testa sul cuscino, e raggomitolandomi nella coperta. Accesi un fuoco magico nel camino per scaldarmi, ma le fiamme evocarono altre immagini… Rimasi a singhiozzare fino a quando non mi addormentai, pensando a quanto sarebbe stato difficile mentire da quella mattina in poi. Così decisi che mi sarei limitata a non parlare. Non sarei riuscita ad emettere suono fino alla mattina successiva. Ripresi a parlare normalmente solo dopo tre giorni, rifiutandomi comunque di rispondere a qualsiasi domanda.







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    Edited by tonks‚ - 2/10/2017, 22:17
     
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